“Ragazzi voi che siete ballerini posso farvi una foto?”
“Figo a rega! Fate Parkour?”
“Guarda mamma quei signori che fanno Yoga!”
Dare un’identità a qualcosa che di definizione un’identità non può averla, è l’impresa del Mover che sceglie non solo il movimento a 360° come stile di vita, ma anche come professione.
Tutti insegnano a muoversi. Per lo più, il Movement Coach non si può definire nemmeno come un tecnico di una specifica area come l’esperto di tennis, crossfit, yoga, bodybuilding ecc.
Per finire in bellezza nel prototipo del “non ho capito tu che cosa fai”, quando ti alleni all’aperto, le persone che ti fermano ti possono confondere con svariatissimi ruoli.
Iniziamo a dire che avere un approccio “generalista” non vuol dire fare le cose alla c***o, e sentirsi liberi di muoversi non ci toglie da una disciplina e un allenamento costante.
Dal punto di vista del Mover, praticare Movement significa esplorare diverse aree di movimento. Allenarsi per lui non significa solo portare a termine serie e ripetizioni ma vivere una ricerca di diversi modi in cui il corpo è in grado di esprimersi. L’estetica non è il fine ma una diretta conseguenza di un corpo sano e adattabile.
Dal punto di vista del Trainer, insegnare Movement significa avere un astuccio ricco di colori per dipingere al meglio sul cliente il percorso di crescita e allenamento più adatto a lui.
Ad esempio, se vogliamo allenare la forza della spinta nelle gambe di una persona e abbiamo un’esperienza decennale solo sullo squat e altri movimenti cosiddetti classici, la dinamica del nostro cervello ci porterà a riprodurre sul cliente un allenamento coerente con il nostro bagaglio di studi e pratica; lo squat e complementari affini, appunto.
Lo squat diventerà il fine ultimo della pratica e non il mezzo per poter portare la persona a fare ben altro.
Se al contrario, a parità di teoria (la forza riamane la forza anche se non si fa solo pesi), abbiamo esplorato come generare forza sulle gambe testando l’articolazione di anca-ginocchio-caviglia in diverse discipline come parkour, acrobatica, pesistica, acrobatica etc, avremo certamente più possibilità di fare vivere alla persona un’esperienza di movimento più completa o comunque se arriviamo a consigliare di mettere il piede (per esempio) in una certa maniera è perché abbiamo personalmente sperimentato in diversissime circostanze che la caviglia, se stimolata in un determinato modo, è in grado di sostenere stress e adattamenti di diverso tipo e non solo uno stress dato dal carico di un bilanciere.
In definitiva, l’idea è quella di preparare il cliente a una preparazione atletica tale da permettergli di avere un fisico e una mentalità adatta a poter esplorare qualsiasi cosa.
Allora basta allenarsi per diventare un Coach del Movimento?
Assolutamente no. La differenza la fa chiaramente lo studio della teoria che sostiene la pratica. E’ fondamentale sapere come stimolare la forza muscolare, in quanti secondi programmare uno sforzo per avere nel periodo X i risultati che vogliamo ottenere e far ottenere, capire come ragiona una catena miofasciale, come rispondono i tendini, le articolazioni, la componente propriocettiva, il SNC e altre bellissime cose.
Un altro fattore sostanziale è la componente empatica che qualsiasi buon trainer dovrebbe avere per far sentire a suo agio (e sentirsi a sua volta) il cliente.
In merito, se vuoi approfondire ti lascio il link del video Youtube sulle 4 qualità che hanno tutti i Trainer di valore https://www.youtube.com/watch?v=vANHLzEmJjg&t=6s
La differenza la crea un allenamento aspecifico e una stupenda formazione che non finisce mai, esattamente come i movimenti che si possono imparare.
Perché non diventare esperti in un unico specifico settore? Perché quindi, fare Movement?
Personalmente la mia risposta è che essendo il corpo umano un universo fisico, mentale ed emotivo in grado in ogni istante di esprimere sé stesso in una realtà dalle potenzialità immense, è estremamente riduttivo insegnare a muoversi meglio utilizzando un'unica via.
Chiaro. Di base, bisogna creare, come dicevo, un corpo in grado di sostenere movimenti più complessi. Grazie a questa strutturazione si educa il corpo e la mentalità della persona a costruire forza, elasticità e schemi motori in vista di MUOVERE il corpo in diversi modi e stili.
Non posso proporre dei movimenti complessi a una persona senza nessuna consapevolezza motoria e piena di problemi fisici; ma posso portarla a essere in grado di poterci provare grazie a una programmazione mirata.
Uno squat con 100 kg ad esempio o un ponte da terra, non devono essere il fine ultimo della pratica ma un mezzo che consenta di poter esplorare quello che si vuole.
La chiave è proprio qui.
Non si tratta di avere solo il culo più sodo o gli addominali più scolpiti ma possedere più consapevolezza del proprio corpo in salute, conoscersi meglio e rispettarsi, muoversi con leggerezza e armonia.
Sentirsi più forti e vivi.
Ripeto che avere esperienza in tante discipline non significa fare tante cose e farle male.
Tutt’altro.
Si è in continua ricerca, in continuo allenamento, investimento fisico ed economico, si è meravigliosamente a contatto con diversi professionisti che prima di insegnare qualcosa hanno provato anche 25 anni lo stesso movimento.
Ci si mette sempre alla prova e non si è praticamente mai inchiodati nella propria zona di comfort.
Il Coach del movimento in tutto questo, grazie alla teoria e alla formazione costante è in grado di saper apprezzare, cogliere, interpretare e riorganizzare l’insegnamento e le esperienze vissute in diverse aree e strutturarle ad Hoc nella persona che si rivolge a lui per svariati motivi.
Si, magari anche per un “semplice” mal di schiena.
A parità di teoria, se possediamo un bagaglio di molte esperienze in cui la schiena viene percepita negli anni sotto diversi movimenti, stimoli, stress, sapremo molto meglio applicare la pratica con la teoria, entrare in empatia con le sensazioni riportate dal cliente e far vivere l’allenamento sotto una luce di una consapevolezza completamente nuova.
Facile? Assolutamente no. Ma credo anche che il mondo abbia bisogno di una visione rinnovata di sé stesso.
Tutto quello che viviamo passa attraverso il nostro corpo e l’errore che dobbiamo smettere di commettere è quello di riportare schemi, metodi fissi, numeri, definizioni all’incredibile e unica adattabilità del corpo e del pensiero.
Non solo per allenarsi, ma per amare muoversi.
Non per avere un metodo fisso, ma per imparare ad ascoltarsi.
Non solo per sforzarsi, ma per cercare gli stimoli corretti.
Non per essere solo belli, ma soprattutto sani.
Non per essere solo tonici, ma anche reattivi ed elastici.
Non cercare solo il fisico, ma riscoprire il contatto tra corpo, mente ed emozioni.
Non solo per osservarsi, soprattutto per sentirsi.
Non è un caso che negli ultimi anni sono aumentate le vendite di libri sull’essere felici e vivere una vita senza preoccupazioni. La scienza non può arrivare a rispondere a certe domande.
Schede ferree, programmazioni specifiche con percentuali di carico e buffer al minor margine di precisione non porta per forza a un ascolto più profondo di sé stessi così come la sola meditazione non porta a un contatto vivo col proprio corpo se non sappiamo come muoverlo.
L’importanza sta nel fondere questi due principi per offrire al mondo dell’allenamento il lato artistico che gli spetta di diritto.
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